Che non si trattasse di un puro divertissement lo dimostra un’analisi di parole e immagini, com-provata dal ritrovamento di preziosi documenti d’archivio. Al progressivo raffinamento dei testi, che da filastrocche divengono lucenti talismani contro il mal de vivre, Scialoja fa corrispondere un lavoro di fino sulle immagini. Esplorando la sua biblioteca, conservata intatta nella casa-museo di Santa Maria in Monticelli, è emerso un interessante e vasto ventaglio di fonti iconografiche, pari o forse superiore al versante letterario. A guardarli bene, i nonsense della Zanzara sembrano una torta millefoglie: c’è un primo, superficiale strato, che soddisfa immediatamente l’appetito del lettore per l’accostarsi perfetto delle sonorità; c’è poi un secondo strato, ovvero la serie di riferimenti letterari, espliciti e impliciti; il terzo strato, il più profondo, è apprezzabile nel connubio tra testo e immagini, dense di riferimenti alla tradizione vittoriana del nonsense ma an-che a quella del libro romantico à la Grandville. “Non amo particolarmente i bambini, più che altro ho cercato di riportare in vita la mia infanzia”, così il poeta-pittore avrebbe dichiarato in un’intervista; ed è proprio in quel voler tornare a scrivere e disegnare insieme, senza curarsi delle attese del pubblico e delle distinzioni di genere — tra riferimenti letterari alti e bassi, tra libro d’artista e libro illustrato — che risiede la forza dei libri di Scialoja.